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Per il moderno piddino, il modello da imitare

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Prendo spunto da un interessante e commovente articolo su The Atlantic,La vergogna segreta della classe media americana”, in cui uno scrittore e sceneggiatore (con un libro comprato da Scorzese per farne un film) americano, che insegna part time e vive in un bel quartiere di New York, ha mandato una figlia a Stanford e l’altra ad un’altra prestigiosa università, confessa che con i suoi 120-140.000 $ all’anno di reddito non riesce a restare sullo standard atteso della “classe media” e “conta i centesimi”. Non dispone di 400 $ per far fronte a qualche improvvisa emergenza (come il 57% degli americani) ed ha consumato tutte le risorse anche dei genitori.

A volte, confessa, si trova a fare melina con i suoi ultimi 5 $, mentre aspetta il prossimo incasso, oppure ad andare avanti per giorni con solo uova per pranzo, o chiedere denaro in prestito alle figlie per il riscaldamento.

Come è arrivato a tanto? Il suo racconto è usuale, la carriera era partita benino, con qualche libro venduto (alla fine ne ha scritti cinque, biografie di persone famose), un impiego alla televisione come sceneggiatore, un corso all’università, molti premi vinti, centinaia di articoli pubblicati, una reputazione. Ma per ottenere questo bisogna vivere a New York, poi è arrivata la benedizione di due figlie, ed un reddito medio-alto presuppone di avere uno status adeguato, altrimenti il mondo non ti percepisce nella dimensione del “successo”. Quindi si usano le carte di credito senza fare caso ai tassi di “revolving” (in America una sentenza della Corte Costituzionale ha liberalizzato del tutto i tassi per le maggiori banche, che dunque non sono soggette al concetto di “usura”), si prende un mutuo nello stesso modo, convinti che la casa crescerà sempre di valore perché così tutti dicono (ancora oggi il 43% degli americani ci crede, contro ogni evidenza). Si mandano le figlie a scuola e si sostengono perché abbiano risultati eccellenti con insegnanti privati. Poi si capisce che per avere una scuola pubblica decente (quelle private sono per il 5%, non per uno che più o meno è nel terzo decile della distribuzione del reddito) bisogna abitare in un quartiere più prestigioso e ci si trasferisce. Quando Scorzese gli compra i diritti del libro si usa l’anticipo per il mutuo della casa nel bel quartiere, anche se la vecchia non è stata ancora venduta e il mutuo è vivo (non lo dice, ma probabilmente è uno di quelli con rate crescenti che alla fine picchiano), dunque arriva “l’imprevisto”: la vecchia casa non vale quanto il mutuo e lui si ostina a cercare di venderla al vecchio prezzo, dopo anni si rassegna, ma nel frattempo ha pagato due mutui. Fortunatamente capisce almeno una delle trappole che la “upper class” ha teso alla medie e rinuncia ad avere le carte di credito (che sono, in particolare in USA, delle vere truffe) e così contiene le spese. Ma le figlie devono andare all’Università e lui, essendo persona colta, sa bene che senza istruzione di alto livello (e riconosciuta per tale) nella società in cui viviamo non si può progredire e si viene condannati a ristagnare su “lavoretti”. Ovviamente per le figlie vuole il meglio, vuole il “sogno americano”, la capacità di elevarsi e stare meglio di genitori e nonni. Allora dà fondo alle riserve della famiglia allargata (ovvero dei suoi genitori) e paga le esose tasse universitarie di Stanford e il percorso didattico dell’altra figlia (Emory, WorldTeach e poi AmeriCorps e master presso l’Università del Texas).

Certo nel frattempo ha anche perso il lavoro in televisione (era troppo poco “frivolo”), e un contratto per un libro, dato che non riusciva a lavorare con la necessaria velocità per l’angoscia della situazione economica, la moglie ha lasciato il lavoro. Poi ha avuto problemi con il fisco per aver rinviato il pagamento di tasse causate dall’incostanza dei suoi redditi (un anno prende l’anticipo per un libro, poi impiega tre-quattro anni a scriverlo e vede altri soldi solo alla consegna).

Sono tutte cose che succedono, ma a quanti? Nel 2014 un sondaggio ha scoperto che solo il 38% degli americani potrebbe coprire una visita medica di emergenza con 1.000 $ o una riparazione dell’auto da 500 $ con i risparmi. Il Pew Charitable Trust ha scoperto che il 55% delle famiglie non è in grado di far fronte ad 1 mese di interruzione del reddito ed il 71% è preoccupata per le spese di tutti i giorni. Annamaria Lusardi della George Washington University, insieme a Peter Tufano di Oxford e Daniel Schneider di Princeton hanno provato a chiedere se gli intervistati potevano fare fronte in 30 giorni ad una spesa imprevista di 2.000 $: il 25% ha risposto di non poterlo fare in alcun caso, il 20% solo vendendo qualcosa o con un prestito. Secondo le loro conclusioni dunque la metà degli americani contemporanei è “economicamente fragile” e “vive molto vicino al bordo”. Un’altra ricerca ha evidenziato che il 20% degli americani ogni anno subisce una perdita improvvisa (ad esempio per spese mediche, o per interessi sul debito) e non riesce a compensarla, riducendo il suo risparmio.

Ma quanti sono questi risparmi? Edward Wolff della New York University ha verificato che il patrimonio netto è precipitato del 83% per il primo quintile più povero, e del 63% per il secondo, mentre solo del 23% per il terzo (medio) quintile. Quello mediano era di 87.000 $ nel 2003 e dieci anni dopo è sceso a 54.000 $. In questo crollo contribuisce la crisi del 2008, ma era cominciato già dalla metà degli anni ottanta.

E quanta è la “fragilità”? O, in altre parole, in caso di interruzione del reddito per quanto tempo una famiglia in età lavorativa riesce ad andare avanti con le normali spese? Per Wolff, liquidando tutte le attività finanziarie meno le case, si ha questa risposta: per il 40% più povero 0 giorni, una famiglia del 20% di mezzo (cioè mediana), che mediamente ha un reddito totale di 50.000 $ all’anno, può andare avanti per 6 giorni (ho scritto bene). Una del 20 % più in alto (cioè nel penultimo quintile, classe medio-alta), per 5,3 mesi.

In altre parole, ovvero con quelle di Wolff: “la tipica famiglia americana è in condizioni disperate”.

Quali sono le cause di questa situazione? Certamente una delle cause principali è la finanza predatoria che negli anni novanta ha avuto “libertà di caccia” da parte di una politica ormai completamente catturata ai suoi interessi. Sono emerse carte di credito sempre più ingegnose, che promettevano in sostanza di comprare tutto con niente, e in particolare per chi non è uso a comprendere i misteri degli interessi composti sembravano l’eden mentre erano la porta dell’inferno. Oppure nuovi mutui a tassi variabili e scalari che sembravano dare ad ognuno la possibilità di comprare la casa dei sogni a prezzi inferiori di molto agli affitti, giocando sulla incomprensione di molti della differenza tra valore reale e nominale, ovvero degli effetti dell’inflazione. Ancora strutture assicurative incomprensibili, titoli strutturati che anche un laureato in finanza a Princeton farebbe fatica a comprendere vendute a professori di storia (come il nostro simpatico protagonista).

Sono questi pesi, accumulati nel tempo, che creano questo effetto straordinario, un professionista apparentemente di classe medio-alta, che guadagna cifre a cinque zeri all’anno che non riesce ad allontanarsi da poche centinaia di dollari sul conto corrente. Che sta costantemente a seguire affannosamente le bollette di questa o quella utenza, o, soprattutto, questa o quella rata di uno dei suoi numerosi debiti autoalimentati.

In una società strettamente individualista, in cui tutto (la televisione, il cinema, i media, la stampa, l’arte, la cultura in generale) guarda al primo 1%, e soprattutto ai pochi e ricchi, al 0,01 protagonista delle soap di successo, o all’ 0,1, o al massimo al’10% che via via brilla nelle sue grandi ville, con le macchine, i vestiti, le feste, si creano le condizioni per diventare prigionieri del “sogno”. Quando i consumi distintivi (tra i quali metto anche quelli di istruzione, Stanford, gli “estorsori” come dice il nostro amico) esplodono verso l’alto e abbandonano ogni rapporto di continuità con quelli medi e bassi, si scopre che posso avere la televisione, ma non posso avere l’istruzione o una sanità di qualità. Che se cerco di giocare la partita alla quale “il sogno” mi ha preparato l’America mi respinge e mi colloca nella prigione dei debiti.

Del resto se non gioco sono debole, sono indegno, sono un “fallito”. Essere deboli, in una società in cui ognuno è solo, perché le organizzazioni di mutuo soccorso sono scomparse e lo Stato è dalla parte dell’1%, della finanza estrattiva, significa scomparire. Solo i capobranco sono apprezzati.

Questa è, in effetti, l’opposto di una società; uno standard per definizione irraggiungibile che è esposto esclusivamente per rendere deboli e fragili.

“Vae Victis”!

Le conseguenze di questa “impotenza finanziaria” indotta coscientemente sono enormi, come scrive l’articolo “la mancanza di denaro rovina definitivamente tutto”, in una cappa di miseria resti sveglio la notte a rimuginare, perdi capacità di lavorare e lucidità (come mostra bene “Scarcity” il libro di Mullainthan e Shafir, di cui avevamo parlato), la tua autostima viene mangiata, quindi la tua fiducia ed energia insieme alla speranza. Ma diventi anche solo, nessuno resta vicino ad un “vinto”. La miseria acquisita mette i coniugi l’uno contro l’altro, in una spirale di accuse reciproche, e anche figli contro genitori. La vergogna copre tutto, almeno fino a che pensi di essere solo.

Ma la perdita del senso di stare avanzando, quando coinvolge intere comunità, come sta avvenendo, si trasforma in rabbia politica.

La conseguenza è Trump.

Come dice un altro antico detto: “chi semina vento raccoglie tempesta”.

“Vae Victis”: La condizione disperata della Classe Media americana e le sue conseguenze.