Il liberismo che surroga religione e legge naturale nelle menti bovine che lo subiscono

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/17/liberismo-e-dogma-dal-mito-alla-realta-prima-parte/2472703/

Nell’epoca della “morte di Dio”, sono sorte, come funghi, Innumerevoli “pseudo-religioni”. Tra queste ve n’è una che spicca per importanza: non ci riferiamo, ovviamente, a uno numerosi sincretismi che sono venuti alla luce nella modernità, come la teosofia o la “new age”, ma a qualcosa di assai più pervasivo e, al tempo stesso, dogmatico, ovvero al cosiddetto “liberismo”.

Ci duole constatare che ancora ai nostri tempi, vi sia qualcuno che ritiene il liberismo sia una teoria economica o socio-politica; purtroppo per loro non è così: esso rientra bensì nei canoni che definiscono le religioni. Già Walter Benjamin lo descrisse in questo senso, in un breve saggio dal titolo : “Il capitalismo come religione”, del quale riportiamo un breve passo:

“Nel capitalismo si deve vedere una religione, vale a dire che il capitalismo serve essenzialmente all’appagamento di quelle preoccupazioni, di quelle pene e inquietudini a cui un tempo davano risposta le cosiddette religioni […] Il capitalismo è una religione cultuale, forse la più estrema che sia mai esistita. In esso tutto ha significato solo in immediata relazione al culto […], questo culto è generatore di colpa, indebitante. Il capitalismo con ogni probabilità è il primo culto che non redime il peccato, ma genera colpa”. Anche se Benjamin parla di “capitalismo”, e non direttamente di liberismo, i due concetti sono, in gran parte, sovrapponibili, visto che il pensiero liberale (che è, peraltro, un esempio lampante di “non-pensiero”) è coetaneo del capitalismo moderno e ne è stato la giustificazione teorica, la specifica teologia.

…d’altronde nessuna volpe è mai stata entusiasta se il contadino recinta il pollaio, perché, anche le volpi preferirebbero che le galline, per il loro bene, potessero scorazzare in libertà…

In questo senso il mito fondante del liberismo è quello del “libero mercato”, come il luogo della giustizia “nel senso che il prezzo di vendita sul mercato era visto, sia in teoria che in pratica come il giusto prezzo. Il mercato era un luogo di giustizia […] ma, siccome i prezzi sono determinati secondo meccanismi naturali, esso costituisce un criterio di verità […]. Pertanto il mercato definisce che il buon governo debba funzionare secondo la verità” (ovvero secondo il mercato).

Questo mito viene propalato da numerose “mani invisibili” affinché diventi dogma, e le masse possano essere convinte che sia proprio vantaggio il difendere gli interessi delle èlites. E infatti, le masse, fanno propria la fandonia del “libero mercato” convinti che sia nel loro interesse. Naturalmente, non è mai esistito e non può esistere un siffatto “libero mercato”, ma le èlites che lo controllano vogliono essere libere di manipolarlo come più loro aggrada. A tal fine, sono state piuttosto abili a convincere le masse di cui sopra che il “libero mercato” sia un fenomeno “naturale” e che, per questo, sia un pericolo che alcune entità giuridiche, nella fattispecie quella che è chiamata “Stato”, possano limitare questa libertà. D’altronde nessuna volpe è mai stata entusiasta se il contadino recinta il pollaio, perché, anche le volpi preferirebbero che le galline, per il loro bene, potessero scorazzare in libertà.

Questo è il senso più proprio della locuzione “libero mercato”. Scrisse il Marchese D’Argenson: “Si narra che Colbert organizzò una riunione con dei mercanti, affinché questi gli dicessero cosa lui potesse fare per favorire il commercio. Il più intraprendente tra questi, pronunciò una semplice frase: laissez nous faire”. Da allora, la locuzione laissez faire è divenuta il mantra di questo nuovo culto che, nel corso della storia ha trovato un numero talmente cospicuo adepti e seguaci da diventare una sorta di religione di stato dell’intero mondo occidentale.

Secondo questo dogma, la virtù di uno stato è quella di intervenire il meno possibile a tutela dei propri cittadini e, possibilmente, di non provveder ad alcun servizio per alleviare la “durezza del vivere” (lo “Stato minimo” di Nozick). Lo Stato dovrebbe solo creare un “ordine” atto a creare un ambiente propizio per i predatori più forti. Così vuole il deus absconditus di Calvino, di von Hayek e degli Ordoliberali (che adoperarono il termine “ordo” nell’accezione della Scolastica, secondo la quale esso significava l’ordine divino così come stabilito dalla dispositio provvidenziale).

Per quanto i cosiddetti “paesi avanzati” (ovvero: “non completamente ingeriti”) stiano procedendo a grandi passi su questa strada virtuosa, sono in questo senso assai più arretrati di alcuni altri. Per vedere qualcosa che si avvicini alla perfezione del liberismo archetipico, suggeriamo di spostarsi in Africa; e non nella giungla che esemplificammo nel post precedente ma nelle metropoli, nelle quali si può meglio assaporare la rude bellezza dello “stato minimo”, auspicato dai poveri di spirito “di ogni forma e d’ogni età”

Certo, da questo punto di vista, non tutti i luoghi sono uguali. Non sempre la legge del più forte si manifesta nel proprio pieno splendore. Vi sono luoghi come Mogadiscio nei quali lo Stato è talmente minimo che farebbe la gioia dei Milton Friedman de noantri (anche se dubitiamo che, da quelle parti, riuscirebbero a sopravvivere più che una manciata di minuti); altri nei quali il liberismo è un po’ meno virile come, ad esempio Nairobi. Tuttavia, anche qui non mancano soddisfazioni, per l’intenditore.

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Una delle prime cose che si notano a Nairobi, sono le cosiddette “misure di sicurezza”: per entrare in qualsiasi luogo, dal ristorante al centro commerciale, alle case private, si devono varcare cancelli sorvegliati da guardie. Sono le famose gated communities. Ognuno dei luoghi di cui sopra è circondato da muraglie e/o recinzioni ed è dotato di guardie ai cancelli (e non solo). Alcune di queste recinzioni sono dotate di accessori piuttosto elaborati, come reticolati elettrificati sulla sommità dei muri perimetrali, altre, di ornamenti più artigianali, come cocci di vetro murati nella stessa posizione. Per entrare in qualsiasi luogo, frequentato o abitato dalla upper middle class, è necessario sottoporsi a controlli, da parte degli askàri al cancello. A volte, questi controlli sono alquanto tediosi (specie se si è costretti a sottoporvisi diverse volte in una giornata), come, ad esempio, il dover vergare il proprio nome e il numero di targa della propria vettura su un apposito registro.

Nessuno che faccia parte della categoria socio-economica suddetta (o che gestisca i luoghi da essa frequentati) si sognerebbe mai di fare a meno di questa sorveglianza. Già, perché una delle leggi economiche meno apprezzate dei “liberisti de noantri” vuole che, “dove lo Stato è minimo, la criminalità tende sempre verso il massimo”D’altra parte, quando circa un milione e mezzo di persone vive negli slums (Kibera, Mathare, Korogocho, per citare solo i più noti ) è facile che vi sia un consistete numero di poveri che cerchi la “giustizia distributiva” con altri mezzi (siano essi con armi da fuoco, da taglio o con scasso).

Così si è costretti a spostarsi in automobile da un “gate” all’altro anche solo per comprare un litro di latte. Non che sia impossibile spostarsi a piedi, tuttavia, date le distanze, il traffico che rende difficile qualsiasi attraversamento stradale (ma di questo parleremo in seguito) e lo stato miserando dei marciapiedi, questa è un’opzione che si adotta di rado, ed esclusivamente durante il giorno (e solo in alcune aree).  Se, invece, volete fare due passi dopo l’imbrunire, allettati dal clima mite, in quel caso vale lo stesso avvertimento che ci diedero gli askàri nel post sul leone e la gazzella: “dopo il tramonto escono gli animali pericolosi”. Purtroppo, nel caso della giungla metropolitana, la passeggiata serale è molto più rischiosa perché, coloro che sono troppo poveri per soddisfare anche le più elementari esigenze, tendono a considerare la vostra persona sub specie di ostacolo tra loro e il vostro portafoglio. Non per niente i fisiocratici, antesignani dei “liberisti de noantri”, assimilarono le leggi economiche a quelle di natura. E il “darwinismo sociale” (Herbert Spencer) precedette quello biologico.

Di giorno, viceversa, anche se il pericolo è incomparabilmente minore, la fluidità del passo dell’intrepido camminatore, è alquanto ostacolata dalla massiccia presenza di questuanti, anche se, da quel punto di vista, i paesi europei si stanno rapidamente mettendo al passo (il più grande successo dell’Euro). Tuttavia, quello che qui colpisce è la grande quantità di fanciulli in età scolare o, addirittura, pre-scolare che si dedicano, a “tempo pieno”, all’attività di accattonaggio. Sono i famosi “bambini di strada” (street kids) che abbondano in ogni “Stato minimo”: ovvero esserini che sono stati abbandonati dai genitori quando erano molto piccoli e, data la mancanza servizi sociali all’uopo (cosa molto apprezzata dai liberisti), essi sono costretti a vivere per strada, potendo solo esercitare questa attività per sbarcare (malamente) il lunario.

Un’altra differenza, rispetto all’accattonaggio del vecchio continente, è la creatività delle tecniche adottate (la necessità è la madre delle invenzioni). Qui non vi sono suonatori di vario genere, acrobati o giocolieri di strada, il massimo dell’ingegno mendicante europeo. Questi fanciulli di strada adottano pratiche assai più originali come, ad esempio, avvicinare i passanti impugnando una manciata di escrementi e minacciando di farli oggetto del lancio dei medesimi, qualora questi non devolvano loro la giusta mercede. Il “darwinismo sociale”, a volte, può prendere pieghe inaspettate

Certo che la presenza di una grande massa di derelitti, è foriera di numerosi vantaggi per il liberista che si rispetti come, ad esempio, l’abbondanza di personale a buon mercato per ogni tipo di “mansioni servili” che hanno il pregio (liberisticamente parlando) di non contribuire all’arricchimento del paese e, quindi, ad un benessere diffuso, perché, come diceva Adam Smith “Il lavoro di un servitore domestico, viceversa, non aggiunge valore a nulla”. E così si evita il rischio che i miserabili possano affrancarsi dalla loro condizione di indigenza.

Una fantesca a tempo pieno, ad esempio, non costa più del corrispettivo di un centinaio di euri al mese, così un giardiniere; poco di più un autista. E questo è un bel comfort per quella upper middle class vessata da una vita di cattività in nome della sicurezza. Ma questo non sarebbe possibile senza un’altra caratteristica dello “Stato minimo”, che è quella di avere sempre un consistente “esercito industriale di riserva”

D’altra parte, sin dai tempi di Mandeville (La favola delle api), i liberisti sanno che: L’unica cosa che possa rendere assiduo l’uomo che lavora è un salario moderato. Un salario troppo cospicuo lo rende insolente e pigro. […] Per rendere felice la società e per render il popolo contento anche in condizioni povere, è necessario che la grande maggioranza rimanga sia ignorante che povera”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/03/liberismo-e-dogma-dalla-teoria-alla-pratica-parte-terza/2510065/

Se la upper middle class risiede nella cattività delle gated communities, la più parte dell’”esercito industriale di riserva”, descritto al post precedente, vive nella libertà degli slums (o “baraccopoli”, che dir si voglia). Questi hanno un grande pregio, sono molto discreti: è assai difficile che giungano allo sguardo del turista, dell’uomo d’affari straniero di passaggio o del viandante distratto. Tuttavia esistono – segregata vergogna di ogni Stato minimo – e sono quanto di più simile all’inferno si possa trovare su questa terra.

E’ difficile, arrivare a concepire in che modo centinaia di migliaia di persone possano vivere in aree alquanto limitate, prive di qualsivoglia servizio, stipate di catapecchie fatte di plastica, lamiera e cartone (con qualche piccola isola in muratura, qua e là), tra le quali si diramano polverosi viottoli in terra battuta (che, diventano fangosi ruscelli alla prima pioggia), nauseabondi rigagnoli che prendono il posto degli assenti impianti fognari e la ossessiva presenza di rifiuti in ogni spazio. Questi luoghi pullulano di un’umanità derelitta, ivi naufragata dopo essere stata attirata dalle campagne alla metropoli, dall’illusione di un Eldorado inesistente. Quest’umanità “superflua” (dal punto di vista economico) costituisce l’inesauribile “esercito di riserva” di cui sopra, che è indispensabile per la “deflazione salariale”, non solo delle attività servili (detto in senso descrittivo, senza dispregio alcuno), ma anche di qualsivoglia attività produttiva.

Naturalmente, dalla descrizione precedente, si può facilmente evincere che le condizioni igienico-sanitarie siano spaventose: come abbiamo già detto, gli impianti fognari sono assenti, manca l’acqua potabile, l’aria è pregna del soffocante fumo di rifiuti che bruciano o di quello nauseabondo di materia organica in putrefazione. Le le persone vivono stipate come tacchini negli allevamenti industriali, senza che, però, qui vi siano i controlli sanitari ai quali questi sono sottoposti. Ma, contrariamente ai poveri, i tacchini producono profitto…

Ovviamente la criminalità è elevatissima (e, in questo caso non si può neppure parlare di “giustizia distributiva con altri mezzi”), di conseguenza, questi territori sono teatro di soprusi di ogni genere. Prosperano le gang di piccoli malfattori e le mafiette vernacolari di ogni genere, che taglieggiano i più deboli, cercando di estrarre loro le scarse gocce di valore di scambio di cui dispongono. I terreni e le catapecchie sono, in genere, di proprietà di alcuni “landlords” (proprietari/locatori) che vessano questa povera umanità con affitti esosi (per le scarse capacità contributive di quei poveretti) e che, come si può facilmente intendere, non si rivolgono all’avvocato, in caso di morosità, ma a tipi assai meno raccomandabili che non esitano a sbattere in mezzo alla strada (se va bene) i malcapitati “inquilini” che non sono in regola coi pagamenti.

Negli slums, chiaramente, non mancano tutti i simpatici “effetti collaterali” che si accompagnano alla povertà diffusa: prostituzione, alcolismo, droga. Ogni liberista che si rispetti non può che ammirare queste compiute realizzazioni dello Stato minimo (quando lo Stato è povero è, giocoforza, minimo): bambini glue-sniffer, donne che frugano nei rifiuti, prostitute minorenni sieropositive che si vendono a pochi scellini. E’ il mercato, bellezza! The Market unleashed. La scomparsa del “diaframma di protezione che attenua la durezza del vivere”, auspicata dal defunto bamboccione che rampollo, modestamente, lo nacque; il quale si trovava perfettamente in sintonia con Jeremy Bentham, che ammoniva: “sarà comunque bene guardarsi dalle interferenze della legge, nell’assistenza ai poveri, perché la legge che offre assistenza alla povertà […] è una legge contro l’industria. La spinta al lavoro e all’economia è la pressione del presente e la paura per il futuro; la legge che cancella questa pressione e questa paura, incoraggia all’ inerzia e alla dissipazione”.

In questo mercato perfetto si manifesta compiutamente il “darwinismo sociale” che, a questi livelli di perfezione, coincide col darwinismo naturale (l’oikonomia come manifestazione della provvidenza del Deus absconditus di Calvino) e, in questo contesto, agiscono egregiamente alcuni esserini che, pur essendo minuscoli, sono predatori assai efficienti (anche meglio dei liberisti della savana) e prosperano in maniera eccelsa in questa bolgia terrena. Sono i microorganismi patogeni: vibrioni, salmonelle, treponema pallidum, mycobacterium tuberculosis, papilloma virus, HIV, i vari virus dell’epatite, per menzionarne solo alcuni, senza dimenticare l’onnipresente plasmodium falciparum (agente eziologico della più grave forma di Malaria).

L’assenza di igiene e la promiscuità sono quello Stato minimo che promuove il laissez faire di questi piccoli ma efficienti attori del mercato, che non si nutrono della «materia di cui sono fatti i sogni», ma della materia di cui siamo fatti noi, ovvero di quegli sfortunati, tra noi, che vivono in un mercato perfetto, senza il famoso “diaframma di protezione”. D’altra parte, per i germi, l’assenza dell’interferenza dello Stato (sotto forma di servizi igienico-sanitari) nei confronti del loro libero mercato, è una manna dal cielo.

Per gli esseri umani un po’ meno, perché, parafrasando Adam Smith: “Non è dalla benevolenza del vibrione, del treponema o del micobatterio che noi ci possiamo aspettare la nostra sopravvivenza, nè, tantomeno dal loro riguardo per propri interessi. E’ inutile quindi rivolgersi sia alla loro umanità che al loro egoismo, o parlare ad essi delle nostre necessità, perché queste non coincidono coi loro vantaggi”.

PIER PAOLO DAL MONTE

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